Quando si parla di social housing si fa riferimento alla perfetta via di mezzo collocata tra l’edilizia popolare e le proprietà private vendute o in alternativa affittate a prezzo di mercato: principale obiettivo di questa forma di edilizia sociale è fornire alloggi dagli elevati standard qualitativi, tuttavia a canone calmierato, che non superi cioè il 25 o 30% dello stipendio. Costituito essenzialmente da progetti di tipo sociale, il social housing permette dunque di costituire comunità, favorendo l’integrazione, questo grazie all’impiego di spazi e servizi comuni a disposizione di chi sceglie di optare per tale soluzione. Esso si rivolge a coppie e famiglie appartenenti in genere al ceto medio, le stesse che tuttavia non possono permettersi di acquistare un immobile a prezzo di mercato o che al contrario presentano un reddito eccessivamente elevato per poter accedere all’edilizia popolare. Ecco che in un particolare periodo storico ove la crisi economica inevitabilmente si fa sentire, il social housing rappresenta un’agevolazione estremamente vantaggiosa poiché, oltre a garantire un alloggio all’intera popolazione, anche se non particolarmente facoltosa, favorisce e promuove l’integrazione sociale riducendo la disuguaglianza abitativa e costituendo pertanto un‘opportunità non solo per l’economia in generale, ma anche e soprattutto per il settore immobiliare. Scopriamo dunque come funziona l’housing sociale e in che modo rappresenta una valida alternativa all’edilizia popolare.

Come funziona il social housing

Il social housing in Italia è un fenomeno ancora poco diffuso e a sostenerlo è il rapporto redatto da Oppal, l’Osservatorio Permanente sulla Pubblica Amministrazione Locale e a cura del Politecnico di Milano, secondo il quale nel nostro Paese solo 11 i Comuni, su un campione di 110 interpellati, hanno attestato la presenza di almeno una struttura appartenente all’edilizia sociale, destinata cioè a rispondere a specifiche esigenze, accogliendo particolari categorie di persone. Ad oggi, sempre secondo il report, sono solo 16 i Comuni che hanno l’intenzione imminente di intraprendere un progetto di questo genere a breve termine, sebbene il 78% abbia dichiarato comunque di non escludere in futuro tale opzione. Emerge dunque una realtà piuttosto “sorprendente”, e non certo con accezione positiva, poiché ad oggi sono ancora troppo poche le comunità che sono a conoscenza delle potenzialità dell’edilizia sociale e dei vantaggi che la stessa comporta.

Il social housing è infatti caratterizzato da progetti volti a garantire e tutelare il diritto all’abitazione: non si tratta dunque di semplice edilizia popolare residenziale dedicata a famiglie indigenti o in difficoltà, bensì di un’iniziativa utile e proficua concepita per creare spazi condivisi tra abitanti, rispondendo a specifiche esigenze di carattere sociale.

Le problematiche legate agli alloggi, non coinvolgono infatti solo le fasce più indigenti della popolazione, ma anche coloro che, non avendo l’opportunità di fare affidamento su un reddito fisso, non possono di conseguenza accedere a mutui e finanziamenti per l’acquisto di un immobile di proprietà: alcuni esempi sono in questo caso rappresentati da coppie e famiglie che pur non potendosi permettere un’abitazione al prezzo di mercato, dispongono di un reddito troppo elevato per accedere all’edilizia popolare, o ancora i lavoratori assunti con contratti a tempo indeterminato, studenti fuori sede, immigrati e anziani che versano in condizioni di disagio economico.

Il social housing mette a disposizione abitazioni in affitto permanente, assegnate agli aventi diritto per un periodo di normale locazione residenziale, in genere 4 anni + 4 anni: tuttavia esistono anche formule differenti che prevedono l’acquisto dell’immobile stesso, condizione che riguarda specifiche tipologie di progetti. I progetti di social housing, costituiti da abitazioni nuove ad alta efficienza energetica o ristrutturate in maniera perfettamente funzionale, sono dunque all’insegna pratiche sostenibili in grado di generare un impatto positivo non solo per chi vi risiede ma per l’intero quartiere e la stessa città che li ospita.

Il social housing in Europa

La Commissione Europea ha dichiarato che l’essere privi di un’abitazione dignitosa, rappresenta la manifestazione più allarmante sinonimo di povertà, la stessa che tende a determinare l’esclusione sociale. Secondo uno studio condotto nel 2009 da CECODHAS Housing Europe, in media il 6% della popolazione presente in Europa, è costretta a vivere in condizioni di housing deprivation, in abitazioni sovrappopolate, accompagnate da condizioni igienico-sanitarie e strutturali spesso totalmente inadeguate: ad essere maggiormente coinvolti sono in questo caso i Paesi dell’Europa dell’est con percentuali a dir poco allarmanti che si attestano intorno al 12,2% dell’Estonia fino addirittura al 28,6% della Romania. Ad essi si contrappongono gli Stati del Nord Europa, dove tale condizione risulta fortunatamente marginale: 0,5% per i Paesi Bassi, giungendo all’1,3% in Danimarca. L’Italia col 7,3% e la Grecia col 7,6% sono dunque gli unici Paesi appartenenti alla Comunità Europea, a superare la soglia media del 6%. Garantire il diritto a un’abitazione a tutti i cittadini rappresenta il primo step utile per contrastare la povertà e l’esclusione sociale, per questo i Paesi dell’Unione Europea, hanno iniziato a mettere in atto politiche di social housing che, sebbene la crisi economica contribuisca a renderle sempre meno sostenibili, rappresentano al contempo qualcosa di realmente necessario. 

Sebbene sia ad oggi difficile definire statisticamente il numero di proprietari di immobili sociali o social houses, l’ampiezza di tale settore può essere facilmente individuato prendendo in esame il numero di abitazioni sociali in affitto, in rapporto al totale degli immobili disponibili. Confrontando i Paesi dell’Unione Europea emerge che i Paesi Bassi dispongono del numero in assoluto più elevato di residenze sociali (32%), seguiti a ruota dall’Austria col 23%, dalla Danimarca col 19%, dal Regno Unito col 18% a pari merito con la Svezia, dalla Francia col 17% e in ultimo dalla Finlandia con il 16%. La percentuale tende a ridursi drasticamente negli altri Paesi, raggiungendo lo 0% in Grecia, Paese nel quale politiche di social housing impongono unicamente la vendita, escludendo invece la locazione di alloggi low cost.

L’ultimo decennio in particolare ha segnato un sostanziale incremento del numero di richieste di social hosting: basti pensare ad esempio all’Inghilterra con un +57% tra il 2001 e il 2006, mentre l’offerta complessiva è parallelamente diminuita. Più recente invece l’inversione di tendenza che ha visto in alcuni Paesi, prima tra tutti la Francia, con oltre 131.509 nuovi alloggi solo nel 2010, fattore che ha favorito l’investimento nel social housing, interpretato come un vero e proprio ammortizzatore sociale. Viene da sé tuttavia che il futuro di tale settore sarà influenzato significativamente dai Governi e dall’entità dei fondi che riusciranno a destinare a tali progetti, pesantemente penalizzati dalle attuali politiche di austerity così come dai continui e frequenti tagli alla spesa pubblica.

Il social housing come nuova edilizia popolare

Il social housing è entrato nell’uso comune solo da qualche anno dunque, quando, anche in Italia si è sviluppato il concetto di “smart city” o “città intelligente”, sebbene esista ormai da tempo. L’espressione smart city indica di fatto un vero e proprio sistema di “strategie di pianificazione urbanistica coniugate all’innovazione”. Volendo attribuire pertanto al social housing una definizione più semplice, possiamo tradurre il tutto come edilizia residenziale sociale, modello in grado cioè di rendere facilmente fruibili specifiche soluzioni abitative, a tutti quei nuclei familiari i cui bisogni non possono essere assecondati per mezzo delle condizioni di mercato influenzate da regole di assegnazione.  Un concetto forse complesso che nel corso degli ultimi anni ha avuto accezioni differenti e altrettanto differenti applicazioni, superando a tutti gli effetti anche l’edilizia popolare, per la quale in Italia sono davvero poche le testimonianze di applicazione virtuosa. Volendo comparare entrambe le espressioni, edilizia sociale e edilizia popolare, tutto sembrerebbe estremamente simile: in realtà tuttavia non è così. Proprio l’edilizia popolare in Italia ha contribuito a generare degrado e ghettizzazione sociale nella maggior parte dei casi. Basti pensare a Roma e agli enormi casermoni che costituiscono i quartieri popolari quali Tor Bella Monaca, San Basilio o Laurentino 38, la cui realizzazione è stato frutto della sola speculazione. Sono fortunatamente presenti sempre a Roma, testimonianze al contrario positive quali il Villaggio Olimpico così come l’INA-Casa al Tuscolano. Ecco che di fatto la macroscopica distinzione che intercorre tra edilizia popolare e social housing risiede nelle modalità in cui viene concepito il concetto di “abitare”: conseguentemente cambia anche le modalità di erogazione dei servizi così come la forma che ogni progetto tende ad assumere. Il social housing vede il proprio successo e la relativa efficacia, ovunque venga applicato nel modo corretto, nello sviluppo di una comunità di individui eterogenea messi in relazione grazie alla condivisione di aree comuni così come nell’iter decisionale e gestionale del progetto stesso. Solo adottando specifici criteri è pertanto auspicabile che nei prossimi anni, il social housing continuerà a diffondersi, sostituendo a poco a poco il degrado tipico del quartiere popolare.

Il decalogo del social housing

Nato per fornire risposte alle più comuni domande e necessità attuali, il social housing necessita di alcune semplici regole, questo al fine di dar vita a “progetti in grado di funzionare”. Importante risulta dunque:

  1. Promuovere l’integrazione tra gli interventi di edilizia residenziale pubblica e privata, sia nello spazio urbano che nella gestione operativa, grazie a una più facile gestione semplificata delle competenze pubbliche;
  2. Valorizzare il concetto di condivisione sia nella progettazione che nella gestione e realizzazione di interventi di social housing;
  3. Promuovere progetti legati alla rigenerazione dei quartieri disagiati, la cui leva sia caratterizzata dal social housing e dove le innovazioni tecnologiche così come elevate prestazioni ambientali ne siano protagoniste;
  4. Definire modelli unificati per quando concerne gli accordi tra enti e operatori, rendendo standard le definizioni tecniche e omologando ogni progetto in funzione delle oscillazioni del mercato immobiliare;
  5. Concretizzare una correlazione tra la gestione finanziaria e la gestione sociale, mantenendo la diversa specificità di competenza e responsabilità dei soggetti economici coinvolti;
  6. Ridurre e contenere i costi di costruzione e di esercizio del social housing all’interno dei programmi di rigenerazione urbana, intervenendo solo ove necessario;
  7. Integrare gli interventi di social housing all’interno delle politiche sociali, premiando valori fondamentali quali la sicurezza, la solidarietà, la coesione sociale e il lavoro;
  8. Estendere gli interventi di social housing a tutte le principali città italiane, favorendo presso i Comuni, percorsi formativi dedicati e ah hoc;
  9. Sviluppare i modelli di valutazione in grado di valutare l’efficacia del progetto di social housing, prima, durante e dopo la relativa realizzazione;
  10. Rendere attive ulteriori opportunità formative volte a creare le competenze professionali necessarie per diffondere anche in Italia l’approccio valoriale del social housing.
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